Da oggi il nostro giornale si impreziosisce della partecipazione a firma di Biagio D’Agostino. Reggino Doc, collaboratore di riviste, amante delle proprie origini, studioso attento su ciò che interessa il nostro territorio, il D’agostino è autore di diversi saggi sulla storia della Calabria e soprattutto della provincia reggina che ha praticamente esaminato e studiato in maniera scrupolosa su testi di diversa natura e provenienza, sempre alla ricerca di nuove ed interessanti notizie a riguardo di tutto ciò che ha segnato il passato della nostra amata Terra. Oggi si presenta ai lettori con una riflessione sull’amore verso la propria Terra rispettata e sempre amata soprattutto da chi ha dovuto ad essa voltare le spalle per ragioni di lavoro. Buona lettura!
Guglielmo Rizzica
E’ luogo comune asserire che la tua terra, la tua città, o la ami o la odi. Spesso questo assunto è fortemente radicalizzato, non esistono vie intermedie : o stai da una parte o dall’altra. Chi fra noi, e chissà quante volte, si è trovato coinvolto in discussioni aventi al centro il rapporto amore/odio verso la terra madre.
E la nostra, è terra multiforme, multietnica, multiculturale e multi tante altre cose ancora, crocevia di gioie e dolori, di infatuazioni e di delusioni, di amarezze e di esaltazioni, ed in quanto a contraddizioni, esse ci appartengono e anzi sono annidate nei nostri più reconditi cromosomi, come pochi altri siti al mondo. Un importante Reggino di un secolo fa, asseriva che questa città, crogiolo di razze e culture diverse, ha continuamente rimescolato i propri caratteri creando e ricreando nel tempo, pur rimanendo un’incompiuta.
Qualche tempo fa, ho trascorso una piacevole serata con un caro amico, Reggino anch’esso, ma residente al Nord per motivi di lavoro. La nostra terra è stata al centro di tutto ciò che abbiamo confrontato ed ho trovato ricchi punti di riflessione che voglio condividere con voi tutti.
Premetto che il mio amico ha lasciato Reggio da oltre 30 anni e, quindi, ha trovato la città molto diversa da quella che ricordava quando vi abitava. E’ rimasto piacevolmente impressionato dal cambiamento estetico che in questo lasso di tempo ha trasformato il volto della città. Perché la sua Via Marina era ancora quella dei reticolati spinati della ferrovia, il suo Corso Garibaldi era quello caotico del traffico spesso a doppio senso e via dicendo.
Abbiamo discusso di tutto quello che è stato fatto e di tutto quello che è rimasto incompiuto e la conversazione si è spesso animata alternando fasi di sperticate lodi a critiche feroci, facendo però trapelare in ogni atteggiamento un sottile filo conduttore amorevole.
Dicevo, in premessa, che chi a cagione della propria carriera lascia la terra d’origine, tende a denigrarla o a farne un’icona ideale. E’ spesso emersa in lui, quella mai sopita nostalgia e malinconia che affligge chi si stacca dalla sua terra per motivi di lavoro. Nonostante non abbia lesinato stoccate e critiche, era netta la percezione che il cordone ombelicale non era stato mai reciso, né sfilacciato.
Quando si vive lontani, sono i ricordi più belli che fanno sbiadire quelli spiacevoli. Restano fissate nella memoria le giornate di sole, di mare, il ritrovare i vecchi amici e rivivere gli anni dell’adolescenza, le belle compagnie, le serate piacevoli, i profumi e i colori, i sorrisi e le strette di mano calorose. Certo, il cervello sa che resistono sempre i disservizi, gli uffici che arrancano, i parcheggi selvaggi in doppia e tripla fila, le buche nelle strade, e poi c’è l’inevitabile confronto con quello che succede nella città di adozione che rende ìmpari la lotta.
Ma quando sei qui, anche se è una situazione temporanea, accade che si riaccenda la magia: si recupera la propria identità e l’orgoglio dell’appartenenza. Col tempo si è divenuti milanesi, torinesi o quello che volete voi, ma si rimane pur sempre Reggini, di una Regginità che aspetta questi momenti per urlare tutta la sua virulenza. Questo è un retaggio che talvolta diventa una tara, un peso, a cagione di situazioni contingenti spesso enfatizzate dai giornali e dai mass-media , e si trasforma in imbarazzo quando non diventa vergogna. Troppe volte la nostra terra è diventata tristemente di moda per circostanze che avremmo preferito evitare. Mafia, violenza, delitti legati a subculture dure a morire, mala sanità, cattiva amministrazione e quant’altro, permettono ad altri di additarci come reietti.
Eppure, da nessun’altra parte esiste la nobiltà di identità che abbiamo noi. Noi che siamo la culla della civiltà mediterranea e occidentale, che siamo stati formidabile Polis magno-greca, e poi Civitas romana, che abbiamo accolto, assimilato e fatte fruttificare tutte le più importanti culture che si sono alternate sulla nostra terra : Magnogreca, Fenicia, Araba, Normanna, Sveva, Angioina, Aragonese, Spagnola, Francese ed altro ancora, non possiamo piegare le ginocchia sotto l’infame peso della criminalità organizzata che dileggia prima di ogni altro, noi stessi. Non dobbiamo accettare supinamente l’espoliazione dei nostri civili diritti da parte di una classe politica e dirigente imbelle, affaristica e corrotta. Non vogliamo restare affrancati di una superba eredità culturale che ci nobilita e di cui dobbiamo riappropriarci.
A chi, sbrigativamente ci ha etichettato, e continua a farlo, con un dispregiativo “Mezzogiorno d’Italia” quasi che fosse una colpa o un difetto, abbiamo il dovere morale di ricordare che anche questo nome d’”ITALIA” di cui si intende ad arte far sbiadire il profondo significato , fu coniato dai Calcidesi che per primi portarono in queste terre la fiaccola della civiltà , indicando quel lembo di terra che fu prima Reghion, poi Magna Grecia e poi dilagò lungo la penisola consentendo alla cultura a fatica, di attecchire tra le barbare ed incivili popolazioni del Nord.
Biagio D’Agostino