1.100 miliardi. Queste sono le tasse non riscosse presenti nel magazzino dell’Agenzia dell’Entrate. Una cifra difficile anche solo da immaginare. Per tentare di capirne l’ordine di grandezza facciamo qualche paragone: 1.780 miliardi è il Pil italiano del 2021. Il debito con l’erario, quindi, è pari a circa il 65% del prodotto interno lordo italiano ed è equivalente all’intero Pil spagnolo. Ogni anno che passa, inoltre, entrano circa 70 miliardi di crediti di cui se ne riscuotono, bene che vada, una decina.
Questi sono i dati che ci consegna il direttore dell’Agenzia delle Entrate Enrico Maria Ruffini. Dati che parlano da soli e si aggiungono ad un’altra valutazione: il 96,4% di queste somme, secondo una stima della stessa Agenzia delle Entrate, non sono riscuotibili per vari motivi: cessazione delle attività, fallimenti, soggetti deceduti o nullatenenti.
La situazione descritta è la cartina di tornasole di una situazione insostenibile per lo Stato e per le imprese, soprattutto le piccole e piccolissime, che, per altro, è destinata a peggiorare. Infatti, con la ripartenza della macchina tributaria dopo due anni di proroghe le aziende, devastate da una crisi economica senza precedenti che ha lasciato sul tappeto oltre 200 miliardi di perdita di consumi e aumenti stratosferici dei costi dell’energia, dei carburanti e delle materie prime, non sono nelle condizioni di poter far fronte alla ripresa dei pagamenti, delle rateazioni, delle cartelle. Lo si è visto chiaramente con la rottamazione ter dove l’Esecutivo, pretendendo il saldo delle rate di due anni in cinque mesi, si è trovato con quasi il 50% dei contribuenti che non è stato in grado di poter onorare i propri debiti.
Inoltre, uno dei più grandi paradossi è che tutte le misure agevolative, di sostegno e di stimolo alla crescita previste dal Pnrr e gestite dagli Enti Intermedi, per essere fruite hanno come “conditio sine qua non” la regolarità contributiva e tributaria, tagliando così fuori proprio le imprese che avrebbero più bisogno di supporto in questo momento. Imprese per la gran parte sane, competitive, che stanno sul mercato ma che saranno costrette a cessare le proprie attività e licenziare i dipendenti per l’impossibilità di reggere ad una ripartenza che al momento è solo funzionale agli obblighi, assolutamente non sopportabili soprattutto per un tessuto economico asfittico come quello meridionale, e non alle opportunità.
E quale sarà il risultato di questa “ecatombe”? Licenziamenti di massa con l’aggravio delle spese dello Stato per l’erogazione delle disoccupazioni e l’accrescimento esponenziale dei crediti inesigibili per l’erario.
Se non si cambia decisamente registro in tempi brevi e non si prende atto della realtà, ci aspetta un 2022 a tinte fosche che farà esplodere tutte le criticità ampiamente previste ma mai veramente affrontate tramite una strategia complessiva che tenesse conte delle esigenze del sistema imprenditoriale italiano sulle cui spalle sono gravati gran parte degli ingenti costi economici derivanti dall’emergenza pandemica.
L’unica soluzione realistica, presente peraltro tra i punti consegnati al Governo nell’ambito della manifestazione “Spegni le luci. Accendi i tuoi diritti” da noi organizzata, è quella di una vera pace fiscale: una rottamazione di tutti i crediti contenuti nel magazzino dell’Agenzia delle Entrate che preveda l’eliminazione delle sanzioni e degli aggi, e “spalmi” il debito rimanente in un periodo di almeno 180 mesi così da dare la possibilità alle imprese di far fronte in maniera sostenibile ai loro obblighi tributari, mettendosi al contempo in regola col fisco potendo, di conseguenza, accedere a tutte quelle misure espansive previste da Piano di Ripresa e Resilienza indispensabili ad agganciare la ripartenza tanto agognata da tutti ma che, purtroppo, anche in relazione all’attuale situazione internazionale, è ancora al di là da venire.
Claudio Aloisio
Presidente Confesercenti Reggio Calabria