È stata confermata dal Governo la misura inserita nel nuovo dpcm che prevede la chiusura sino al 24 novembre di bar e ristoranti alle 18:00 pur con la contrarietà pressoché unanime di tutte le Regioni che avevano inviato una controproposta di buon senso con una serie di osservazioni pienamente condivisibili.
Questa estate con la “movida” al suo massimo picco, quella che oggi viene fatta passare come la causa di tutti i mali, non c’è stato alcun aumento dei casi, nemmeno dopo i quindici giorni canonici di attesa per l’incubazione del virus. Infatti anche a settembre la pandemia, nei numeri, era praticamente azzerata.
Invece l’impennata dei contagi l’abbiamo vista a partire dalla seconda settimana di ottobre, dopo l’apertura scellerata delle scuole gestita in maniera pessima e superficiale, e l’avvio a pieno regime di tutte le attività lavorative.
Però, pur avendo tempo e risorse, non è stato messo in campo nessun intervento di implementazione dei trasporti pubblici che, ovviamente, a fronte di questi due eventi e com’era facilmente prevedibile, sono stati presi d’assalto soprattutto in alcune fasce orarie, e non è stato realizzato nessun controllo serio ed efficace all’entrata e all’uscita delle scuole.
Non parliamo poi della situazione del sistema sanitario che dopo sette mesi di tempo si fa trovare ancora impreparato, sotto organico e con una percentuale di posti “covid” insufficiente.
In tutto questo caos, che denota una disorganizzazione strutturale e una sottovalutazione ingiustificabile delle conseguenze di alcune scelte, come al solito il capro espiatorio divengono gli imprenditori a cui viene impedito, di fatto, di svolgere la loro attività.
Ristoranti, bar, pizzerie, pub, si sono adeguati con importanti sacrifici economici a tutte le normative di sicurezza e non c’è alcuna evidenza scientifica che questi luoghi siano fonte di contagio eppure si sceglie di imporgli limitazioni draconiane, immolandoli sull’altare dell’incapacità dello Stato di effettuare un controllo efficace del territorio.
Così facendo, per altro, come è ovvio succeda quando si introducono misure sempre più restrittive con l’emanazione di tre dpcm nell’arco di dieci giorni, si innesca anche un meccanismo di auto isolamento che porta gran parte delle persone a uscire il meno possibile per la comprensibile paura dell’epidemia, causando così all’intero comparto del commercio e dell’artigianato cali di fatturato paurosi, anche dell’ordine del 70%.
Sin dall’inizio della pandemia ho paventato il rischio che la crisi, dal punto di vista economico, fosse “scaricata” sulle spalle delle piccole e piccolissime imprese, cosa che purtroppo, puntualmente sta avvenendo.
I “ristori” e le agevolazioni per le attività chiuse con il primo lockdown sono a tutt’oggi largamente insufficienti. Non è certo facendo indebitare ulteriormente le aziende con prestiti agevolati, sospendendo i tributi che però dovranno essere pagati prima o poi o inviando 600 euro al mese per due mesi che si è risolto il problema delle perdite enormi che il tessuto economico ha subito.
Senza voler entrare, peraltro, nel merito sui ritardi sulla cig che al contrario di quanto si è sbandierato non corrisponde all’80% ma a molto meno, e sulla farraginosità delle procedure per accedere a questi miseri e insufficienti supporti economici.
Lo Stato, quindi, ha il dovere di farsi carico del ristoro economico per tutte le attività che, direttamente o indirettamente, a causa dei provvedimenti imposti dovranno nella migliore delle ipotesi accollarsi perdite di fatturato imponenti e nella peggiore chiudere.
Questa è una crisi epocale, tanto quella sanitaria quanto quella economica, che riguarda tutti gli italiani. Non devono esistere cittadini di serie A e di serie B. Gli imprenditori e i loro dipendenti non possono continuare a sopportare da soli il peso economico di una situazione che sono costretti a subire senza alcuna colpa.
Il Governo dopo questa decisione, della quale ha deciso di prendersi l’intera responsabilità, illustri chiaramente e in maniera celere quali misure di supporto attiverà per sostenere imprese e consumi. Misure che dovranno essere veloci, semplici da fruire e commisurate alle perdite subite.
L’alternativa è la chiusura di centinaia di migliaia di aziende con il conseguente licenziamento dei dipendenti. Una catastrofe dalle proporzioni immani che il Sistema Paese non può in alcun modo permettersi.
Claudio Aloisio (Presidente Confesercenti Reggio Calabria)