Ricordi delle interminabili partite a bocce, dei vecchietti di San Sperato, sotto la “nucara” con il bergamotto che svolgeva il ruolo del “pallino”, nei versi poetici del caro amico Franco Fazzino.
I nostri vecchi …
Con i lunghi pomeriggi d’Aprile
sono tornati tutti sul muretto
un po’ più bianchi
ma sempre più bambini.
Ecco i nostri vecchi.
Davanti ad un cortile, aspettano
di lanciare i bergamotti,
per continuare questo antico gioco
iniziato dal tempo in cui portavano
i calzoni corti.
Si alzano a turno
da una panca di legno
che odora di catrame,
di treni e ferrovia,
di calzoni logori e canotte bucate,
di sigari fumati in compagnia,
di denti neri
e unghie affumicate.
La traversina comodo sedile
sotto l’albero di noci che copriva
il sole abbagliante che bruciava
le pelli tinteggiandole di nero.
Le fronde sopra il capo fitte fitte
albergo per uccelli cinguettanti,
frequenze di canzoni troppo acute
per arrivare a timpani e polpacci
consumati dall’obice pesante
e dall’allegra mitraglia
che strepita in battaglia.
Lanciano il loro frutto
chinati su di esso,
bestemmiano se un sasso
ne cambia la sua corsa,
esultano se invece
accarezza il pallino
come mano di avaro
che afferra la sua borsa.
Poi pagano le scommesse
con riti assai complessi
tirando le monete
da sporchi fazzoletti
e come il tondo frutto
che ha esaurito il suo moto
si accasciano sfiniti
in fondo alla panchina.
Rimangono in silenzio
sotto i neri cappelli.
Raccolgono un ricordo
che poi fanno sgorgare
come l’acqua nei solchi
che irriga la terra
germogliano i ricordi
come frutti superbi.
Mi parlano di guerre
in Africa e di fame
di terre conquistate in Abissinia,
di amici persi e guerrieri africani
spuntati tra cespugli e piante rare
con scudi e scimitarre e mezzi nudi
che portano la morte tra le mani.
Mi parlano di disfatte
e rientri alla rinfusa
tornati su una gamba
in tasca una medaglia
e una croce di guerra
e ancora una stampella
come unico trofeo,
e poi la ricompensa avuta dalla Patria :
riassunti come servi della gleba
lo stesso campo,
la stessa guerra ,
spaccarsi la schiena
sulla nera terra .
Sono scomparsi tutti
i vecchi ormai bambini
in fila son partiti
con i loro bergamotti
lasciando solo il vuoto
lì sotto la “nucara”.
Volati come il fumo
in quella notte di maggio
che ha consumato la casa patronale
che ha visto bambini loro e i loro nonni
fatta di legno, storia e di ricordi.
Quest’albero di noce ha resistito
anche all’incendio della grande casa
ed oggi e ancora là coi rami al cielo
a salutare i vecchi che dall’alto
liberi finalmente
da un corpo ormai corrotto
corrono lieti
dietro un bergamotto.