Le riflessioni dell’editore di Angelo Latella
È da molto che si parla di reddito di cittadinanza e in questi giorni l’argomento sta spopolando più che mai, ovviamente anche per strategie politiche.
Il mio pensiero? Eccolo in sintesi. Essere cittadini italiani è un onore, indipendentemente da un eventuale contributo che si percepisce, perché è bello essere cittadino di una repubblica fondata sul lavoro.
Se l’idea del contributo (reddito), fosse stata quella di sconfiggere la povertà, di abbattere il disagio sociale, perché allora non chiamarla reddito di povertà? Per non offendere i poveri? Per non suscitare disagio sociale? Naturalmente le direttive per ottenerlo dovevano essere più chiare, più precise ed è ovvio che a questo punto il nome diventerebbe relativo, perché alla fine gli imbrogli, per ottenerlo, li avrebbero fatti ugualmente.
Conclusioni … Vi ricordate i tanto criticati “lavori socialmente utili”? Bastava ripristinarli con maggiore “ingegno”, con una migliore programmazione, con più creatività, magari coinvolgendo aziende già operative (pubbliche e private per esempio vigili urbani, vigili del fuoco, infermieri, forze dell’ordine) o di nuova e specifica tendenza (nei settori dell’ edilizia, agricoltura, pesca, ambiente) : Vieni a lavorare quattro ore al giorno e avrai un reddito adeguato fino a quando non riusciremo a darti un lavoro a tempo pieno…
E chi non può lavorare? Esistono già i sussidi per chi ha problemi di salute. Il lavoro nobilita, il contributo fine a se stesso, sa di “disuguaglianza sociale” (per essere educati, altrimenti sarebbe “presa per i fondelli” di chi un lavoro è riuscito a sudarselo).