Ergastolo: il massimo della pena

La riflessione di Angelo Latella 

In questi giorni si parla molto di processi, e quando se ne parla parecchio significa che si riportano alla memoria fatti particolarmente gravi, omicidi di inspiegabile e inaudita ferocia. In alcuni casi la parola “ergastolo” circola con una facilità suprema, come a significare che la chiarezza dei fatti accaduti possa portare a pensare che il processo sia addirittura inutile, una perdita di tempo.

Ma chi è il condannato all’ergastolo? È colui che deve scontare, o se preferite pagare, una pena pesantissima, la più alta, la massima…in termini spiccioli e dialettali “chiuditilu e ittati i chiavi a mari”.

Cos’è una pena? È un castigo, una punizione inflitta a chi ha commesso, direttamente o indirettamente, un danno ad altrui cosa o persona.

Ovviamente stiamo parlando di umanità, di uomini che si sono organizzati nel migliore dei modi (in terra e quindi nella vita sociale), per “punire”, giustamente, chi sbaglia.

I condannati all’ergastolo, ma anche altri, vengono puniti, in primis , perché non possono, in alcun modo, restituire quello che hanno tolto.

Non possono restituire vita, felicità, sorrisi, serenità, pace, armonia. Il condannato all’ergastolo quindi deve soffrire cosi tanto da vivere come se fosse già morto.

Come se fosse già morto, e non possiamo ucciderlo prima? No. I giudici non possono uccidere… magari dopo trent’anni esce fuori qualcosa che mette in dubbio la condanna e prendono fiato con un “meno male che non li abbiamo uccisi”.

L’ergastolo va rivisto, perché non è giusto che si muoia rimanendo vivi. La vita non è vita in una cella, la vita non è un semplice respirare, la vita non è affogare nel rimorso, la vita non è impazzire e nemmeno leggere mille libri.

La vita è perdonare l’imperdonabile. La giustizia è fatta da uomini, facciamo il modo che i giusti non uccidano, facciamo si che le chiavi non finiscano a mare.

Chi sbaglia, chi non può restituire il tolto, paghi il giusto dazio e abbia la possibilità di convertirsi, di tornare a vivere, trasformato dall’amore degli uomini, quegli uomini “giusti”, per cui Dio non è venuto.