Lotta alla criminalità, il sindaco Falcomatà partecipa al think tank di Minoli

 

 

La Ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha raccolto favorevolmente la proposta del sindaco Giuseppe Falcomatà di ripensare la destinazione dei proventi dei beni confiscati ai mafiosi che, oggi, sono appannaggio indistinto del Fondo unico della giustizia.
Nel corso di “Pensa 2040 – Il futuro siamo noi”, l’iniziativa promossa da Crisi Come Opportunità, Avviso Pubblico, Fondazione “Giancarlo Siani”, Italia che Cambia e Biennale Democrazia, durante un think tank moderato dal giornalista Gianni Minoli, il sindaco metropolitano di Reggio Calabria e la responsabile del Viminale hanno ragionato su “Cultura e cittadinanza attiva come strumento chiave di lotta alla criminalità organizzata”. Con loro anche il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, i sindaci di Firenze e Napoli, Dario Nardella e Luigi De Magistris, e la vicepresidente della Regione Emilia Romagna, Elly Schlein.

Il sindaco Falcomatà ha, dunque, espresso la necessità che «le risorse acquisite dai patrimoni confiscati alle organizzazioni mafiose restino, almeno in quota parte, sui territori dove quegli stessi beni ricadono». «Ciò è essenziale – ha spiegato il sindaco – affinché si possano avere le giuste economie per riqualificare e rendere agibili le proprietà sottratte ai boss che, troppo spesso, sono difficili da consegnare alle associazioni proprio per la loro vetustà o le pessime condizioni in cui vengono lasciate a confisca acquisita».

Il sindaco metropolitano ha, quindi, affrontato un altro nodo delicato della questione, rappresentato dalla gestione delle aziende tolte alle organizzazioni criminali: «Non è più sufficiente dare una linea preferenziale ai dipendenti delle società confiscate che, a volte, costituendosi in cooperative, possono subentrare nella conduzione delle imprese sotto le mentite spoglie di ditte nate, soltanto, con lo scopo di ripulire ricavi di attività illecite. Lo Stato, piuttosto, deve accompagnare le aziende, quantomeno nelle fasi di avvio, in un percorso che ne eviti la chiusura e mantenga intatti i livelli occupazionali».

«La più grande intuizione della legge Rognoni-La Torre – ha specificato Falcomatà – è stata, accanto al sequestro ed alla confisca dei patrimoni ai mafiosi, proprio l’assegnazione dei beni a fini sociali. Finché, però, quel determinato bene non viene materialmente assegnato, resta sempre il simbolo di un lavoro lasciato a metà. A Reggio Calabria, tantissime ville sottratte ai boss sono state assegnate per l’emergenza abitativa. Un’opera fondamentale che, però, si deve poter fare nel migliore dei modi. Per questo, penso possa essere decisivo destinare ai territori una parte delle risorse che, attualmente, confluiscono indistintamente nel Fug».

Spunti, questi ultimi, ripresi e accolti dalla Ministra Lamorgese: «Dobbiamo studiare simili opportunità. Le amministrazioni locali vanno aiutate perché acquisiscono i beni e non riescono a mantenerli. E’ importante, quindi, trovare il giusto equilibrio fra le attività da porre in essere e l’aiuto da parte dello Stato che non può mai venir meno».

Nel salutare e ringraziare il procuratore De Raho che «tanto ha fatto sul nostro territorio per il contrasto alla criminalità ed il ripristino e mantenimento della legalità», il sindaco Falcomatà ha sottolineato, poi, «la grandezza di progetti come quelli dell’ex presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella dal titolo evocativo “Liberi di scegliere”». «Un aspetto altrettanto importante – ha detto – è consentire ai giovani di non subire e pagare le colpe dei padri. La mafia non si eredita per Dna, ma se si cresce in un contesto di mafiosità e d’illegalità diffusa. Il progetto Di Bella è da portare avanti. E, accanto a questo, serve una battaglia culturale per innestare questo pensiero anche negli amministratori dei Comuni».

«Dobbiamo fare corsi di formazione – ha concluso Falcomatà – sull’importanza dell’acquisizione, gestione ed assegnazione dei beni confiscati perché, purtroppo, ad oggi, in alcune situazioni, accade che i patrimoni non vengano acquisiti dagli Enti locali. Secondo l’ultimo report di Libera, nella nostra realtà la percentuale dei beni confiscati e che vivono un’altra vita è del 62%. Ma anche su questo, molti Comuni scontano ritardi decisivi che rendono, comunque, il dato parziale. Si deve fare di più e la sinergia, come in tutti i campi, è quella che fa la differenza».