123 miliardi di spesa in meno nel 2020 e, dato che quest’anno non è certo andato molto meglio, presumibilmente altri 70/80 miliardi nel 2021. Numeri che portano la perdita totale di consumi ad oltre 200 miliardi. Questi sono i dati devastanti dello tsunami economico indotto dal Covid.
Dall’inizio della pandemia, quindi, l’economia reale sta perdendo 12 miliardi al mese.
Una perdita che non è omogenea però. Alcuni settori, infatti, hanno addirittura aumentato il giro d’affari in questo ultimo anno e mezzo. L’alimentare, ad esempio, e l’online, hanno avuto crescite a due cifre.
Ciò significa che il peso di tale decremento grava sulle spalle di una gran parte di aziende che operano soprattutto nell’ambito della somministrazione, degli eventi e della vendita al dettaglio, le quali hanno patito cali di fatturato nell’ordine del 50/60% e anche oltre.
Imprenditori che, pur subendo queste rilevantissime perdite, sono riusciti in qualche modo a rimanere a galla sino ad ora perché, oltre a poter usufruire della cig, hanno operato all’interno di una “bolla” in cui tutto (o per meglio dire quasi tutto) era congelato: tasse, cartelle esattoriali, tributi locali.
Ma anche in questo contesto agevolato molti non sono riusciti a farcela. 350 mila partite iva hanno cessato l’attività nel corso di quest’anno e mezzo. Non hanno potuto far fronte agli affitti, alle bollette, al pagamento dei contributi e sono state costrette a chiudere le proprie aziende che, soprattutto alle nostre latitudini, già soffrivano per una crisi infinita subendo una tassazione altissima ben prima della pandemia.
E sicuramente non sono stati gli spiccioli ricevuti con i ristori a risollevare una situazione drammatica né, tantomeno, i prestiti agevolati che, anzi, le hanno fatte indebitare ulteriormente.
Il tessuto economico italiano e soprattutto meridionale, la cui spina dorsale sono le piccole e piccolissime imprese, si aspettava ben altro. Interventi di buon senso che però non sono arrivati.
Tra tutti una vera pace fiscale che avrebbe permesso alle aziende di sgravarsi dal peso insostenibile dei tributi e delle cartelle esattoriali sospese.
Non un condono, attenzione. Nessuno vuole premiare gli evasori.
Parliamo di coloro che dichiarano ma poi non riescono a far fronte ai debiti contratti con l’Erario anche per colpa di una pressione fiscale insostenibile che da noi, la città più povera e più tassata d’Italia, arriva al 74%.
Una percentuale così alta e fuori da ogni logica da sembrare incredibile se non fosse drammaticamente reale.
Un intervento serio ed efficace, tra gli altri, avrebbe potuto essere quello di attuare una rottamazione dei debiti con lo Stato, destinata alle imprese che hanno subito cali di fatturato, nella quale, fatte salve le tasse da pagare, si tagliassero tutte le sanzioni e si rateizzasse la cifra rimanente a 120 mesi.
In questa maniera si sarebbe data la possibilità alle aziende in difficoltà, per colpe certamente non loro, di poter far fronte ai debiti in modo sostenibile senza, peraltro, che l’amministrazione finanziaria perdesse un euro di quanto gli spettasse.
Invece ci ritroviamo a settembre, nel pieno di una pandemia che, lungi dall’essere finita sta peggiorando, con la ripartenza non dell’economia ma della macchina delle riscossioni.
Chi aveva aderito alla rottamazione, ad esempio, deve pagare in cinque mesi, partendo da luglio scorso fino a novembre, ciò che avrebbe dovuto saldare in due anni: tutte le rate del 2020 e del 2021. Per tantissimi un compito impossibile.
Ripartono, a meno di qualche improbabile intervento dell’ultimo momento, anche l’Agenzia delle Entrate con l’invio di milioni di cartelle esattoriali e le rateazioni con l’Agenzia delle Entrate Riscossione che dovranno essere saldate in una volta per la parte eccedente a dieci rate non pagate.
Centinaia di migliaia di aziende non ce la faranno. Chiuderanno e si uniranno alle altre 350 mila che hanno già dovuto arrendersi mandando così a casa milioni di lavoratori che si aggiungeranno agli oltre 950 mila che hanno già perso l’occupazione dall’inizio della pandemia. La gran parte di queste, inoltre, sono società di persone, non di capitale, quindi i titolari vedranno pignorati tutti i loro beni personali. Intere famiglie finiranno sul lastrico e lo Stato perderà centinaia di miliardi di mancate entrate e ne spenderà altrettanti per il sostegno ai nuovi disoccupati.
Sarà un bagno di sangue che, se non cambierà qualcosa, si compirà nei prossimi mesi nel silenzio assordante di tutti: politica, istituzioni e società civile, ora troppo occupati a schierarsi pro o contro vaccini o green pass.
Si sta purtroppo avverando ciò che avevo paventato ad inizio pandemia: i costi di questa crisi spaventosa alla fine sono stati, di fatto, ribaltati sulle imprese, soprattutto quelle piccole e piccolissime che si sono dimostrate l’anello debole della catena. Lasciate sole, senza tutele e senza alcun paracadute, ad affrontare l’inaffrontabile.
Vittime sacrificali di un sistema ottuso che sarà il solo responsabile delle devastanti rovine economiche e sociali che con le sue scelte produrrà.
Claudio Aloisio
Presidente Confesercenti Reggio Calabria