“Un bimbo di 9 anni costretto a cambiare scuola perché vessato da ragazzi più grandi. Aggressioni che continuano anche fuori da scuola, in piazza, in luoghi che soprattutto a quell’età, dovrebbe essere simbolo di divertimento e spensieratezza. Una situazione inaccettabile, assurda, che non può e non deve passare sotto silenzio, anche e soprattutto tra le istituzioni”. E’ quanto afferma il sindaco metropolitano di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà commentando la notizia, diffusa dalla stampa locale, di alcuni episodi di bullismo nei confronti di un bambino di 9 anni a Campo Calabro, centro dell’area collinare dell’hinterland reggino. Aggressioni reiterate denunciate dalla madre del bambino sulle quali, come riportato da alcuni organi di informazione, stanno indagando le forze dell’ordine.
“Su questi temi, che riguardano la vita quotidiana di centinaia di bambini e ragazzi, è necessario aprire una riflessione, che deve investire tutta la società, a partire dalle famiglie e da tutte quelle agenzie educative, comprese le istituzioni scolastiche, che vanno a comporre l’arcipelago che abbiamo chiamato comunità educante. L’episodio del piccolo di Campo Calabro infatti non è certamente l’unico del quale abbiamo notizia in questi mesi. Dalle riaperture post lockdown, con le difficoltà registrate anche nel contesto scolastico con la didattica a singhiozzo e frequenze irregolari da parte dei ragazzi, si sono purtroppo moltiplicati gli episodi di violenza tra i minori. Ne è purtroppo triste testimone anche il Lungomare di Reggio Calabria, le piazze cittadine, i luoghi di ritrovo dell’intero litorale metropolitano, gli spazi più frequentati da giovani e giovanissimi diventano spesso teatro di litigi, risse, aggressioni. Una situazione inaccettabile che deve farci riflettere e che non può più essere bollata come una circostanza fisiologica frutto di intemperanze giovanili”.
“Non è certamente una questione di repressione – aggiunge il sindaco – le aggressioni e le risse infatti avvengono spesso in luoghi affollati, di fronte a decine se non a centinaia di persone, spesso fotografati e ripresi da decine di smartphone. Anzi pare che più sia affollato il posto, più sia facile che si verifichi l’episodio di violenza. Non è quindi un problema di controllo, ma di educazione, nel senso più alto della parola. Su questi aspetti c’è la necessità di interrogarsi, e di farlo insieme, coinvolgendo in primis gli stessi ragazzi, le famiglie, la scuola, le parrocchie, i centri di aggregazione ed anche i titolari dei locali e dei luoghi di ritrovo da loro più frequentati. Perché avviene tutto ciò, da dove nasce il disagio che conduce agli scontri cui assistiamo quotidianamente. Su questi temi è necessario agire, chiamando le istituzioni ad un confronto, ad un ragionamento complessivo, che riguarda non i singoli episodi, come fenomeno legato al tema dell’ordine pubblico o del rispetto della legalità, ma in generale il futuro della nostra terra e la comunità che la abita e la abiterà. Sono aspetti sui quali non è possibile voltarsi dall’altra parte, nè immaginare di delegare il tema dell’educazione relegandolo esclusivamente alle famiglie. Per il presente ed il futuro dei nostri bambini possiamo, vogliamo, dobbiamo fare molto di più”.