Il ricordo di Filippo Fazzino, indimenticabile postino reggino, nelle parole e nei versi del figlio Franco.
E’ passato giusto un anno da quel giovedi santo del 18 aprile 2019. Alle cinque di mattina finiva la tua corsa. Consegnavi la tua ultima cartolina e chiudevi la tua borsa.
Completava il suo servizio don Pippu u postinu!
Mai come negli ultimi mesi siamo stati vicini, o forse c’è stato un tempo in cui lo eravamo e non lo ricordo perché nato da poco.
Certo ti stavo nelle braccia, da te dipendevo per ogni mio bisogno, dormivo sul tuo petto, immagino i gesti che facevo e le tue reazioni solamente perché da padre di due figli ho avuto la fortuna di vedere e provare le stesse sensazioni a distanza di due generazioni.
Poi si cresce e si cambia. Il padre si allontana, si ama di un amore che resta congelato. Ad inseguire la vita, a berla tutta in un fiato, si rischia di affogare in un mare di affanni che tolgono il tempo da destinare a ciò che è più importante.
Fu così che alla fine fui costretto ad abbracciarti “per forza” e per “amore” per alzarti dal letto, ma quando ti drizzavi sulle gambe malferme ti stringevi più forte alle mie braccia e appoggiavi la tua faccia alla mia, il respiro nel collo, immobile per minuti che sembravano ore. Ed io :“ Papà che facciamo, ci spostiamo o ti appoggi, vuoi sederti sul letto, ti porto a cambiarti”. – “Figghiu non aviri fretta, aspetta un pocu accussi ”. E passavano minuti che sembravano ore e passava la vita davanti a quell’armadio.
Scorrevano sotto noi, tra i piedi ed il tappeto, poco più di cinquant’anni in un minuto.
Lui era felice, si abbandonava alle mie braccia senza peso, io ero un neonato cullato dal suo respiro. Mai quanto quei giorni l’ho avuto vicino. Sapeva di morire, ma era sereno. La serenità di chi sa di aver fatto tutto ciò per cui era venuto.
Non grandi imprese, non scalate assurde, ma piccoli gesti che muovono il mondo. Consegnare una lettera a chi aspetta magari una parola di conforto e come dare speranza ad un mondo che aspetta speranza. Lui ci ha lasciati e in quell’attimo io ero sereno.
A mio Padre
Dal tuo letto
Dal tuo letto
Si vede la fiumara
E l’acqua vorticosa
Sulla briglia.
La segui per un tratto
Poi scompare.
Ti chiedi : “Dove va?”
… Certo nel mare.
A mischiarsi con qualcosa
Di più grande.
D’immenso, d’infinito che spaura
Il tuo piccolo cuore
Che traballa
Goccia impaurita
Nel turbinio del mare.