Dall’angolo della reminiscenza pedatoria di Nino Cervettini… Il ricordo di due grandi personaggi del calcio reggino, appena scomparsi.
Per la serie: “Tutto comincia e finisce, la differenza è quello che ci metti in mezzo!”
Quando Tom Minniti venne ad allenare il San Sperato io avevo rotto con la squadra la stagione precedente. Questioni di stile e, soprattutto, di carattere. Il mio, che all’epoca era molto più fumino di adesso che sono diventato un placido vecchietto. Incomprensioni con il buon Mimmo Modafferi, indimenticato amico fraterno anche lui scomparso troppo presto ormai anni fa, al quale rimproverai una panchina di troppo a Gallico Superiore col Santa Caterina dei miei vecchi amici Federico e Nigero.
Tom mi chiamò al bar che gestiva.
«Cervettini, vieni a giocare. Mi servi a centrocampo, vieni per me. Se mi comporterò male mi sputerai in faccia» disse schietto, com’era nella sua natura.
Tom mi ha sempre chiamato per cognome, non so se lo facesse con tutti ma con me funzionò. Mi parve un segno di rispetto. E poi non vedevo l’ora di tornare a calpestare la terra battuta dei nostri campi di gioco.
Mi pare fosse la stagione 1979/80, cominciai il campionato come mezz’ala destra. Alla quinta di andata giochiamo a Pellaro. L’avversario che marco mi porta a spasso per il campo, finisco spesso anche a sinistra. Sono fuori dal gioco, non tocco palla per almeno mezz’ora.
Mi avvicino ad Aldo Franco e gli dico di scambiarci le marcature. Aldo è un mastino che mangia le caviglie ai giocatori rivali e li neutralizza con la disinvoltura di un bulldozer.
Forse pensa che il cambio tattico l’abbia chiesto l’allenatore e acconsente. Spostato al centro e senza l’assillo di una marcatura costante da lì in avanti mi arrivano tutti i palloni, divento un frangiflutti davanti la difesa e faccio ripartire tutte le azioni di attacco della nostra squadra. Do i tempi come un metronomo.
Vinciamo in scioltezza e andiamo in testa alla classifica.
Nella riunione serale in sede Tom mi fa l’occhietto e mi elogia pubblicamente per aver interpretato alla grande il ruolo di centromediano metodista che lui mi aveva suggerito!
Mi fece fare un figurone e questo cementò la nostra amicizia. Giocai con lui alla guida della squadra per tre anni, prima di andarmene a Milano, sfiorando per tre volte la promozione che ci sfuggì sempre per un soffio.
Ma gli sarò sempre grato per la sua stima nei miei confronti e per l’allegria di quel periodo della nostra vita.
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Arturo Autelitano, invece, è sempre stato un avversario. Parliamo di calcio, s’intende, perché dal punto di vista umano è stato un amico di tutti.
A partire dai tempi dei NAGC, ricordo come fosse ieri le sfide a Ciccarello col suo San Giovannello. Noi arrivavamo, tutta la squadra intendo, sulla 126 di Mimmo Modafferi e sulla A111 del presidente don Enzo, anche lui buonanima, mentre Arturo scaricava i suoi, letteralmente, dal furgone dei biscotti Cric che usava alla bisogna. Ovviamente lo sfottò aveva inizio già da quel momento, ben prima di entrare in campo.
Con Minniti allenatore una domenica sfidammo in casa Arturo che guidava, se non ricordo male, il Condera. La giornata era di pieno inverno e la pioggia battente della mattina aveva reso il terreno del campo di Rocco un acquitrino sul quale era difficile rimanere in piedi.
Entriamo in campo, noi con le splendide divise nuove blu intenso con i bordi rossogialloneri, loro con una inconsueta divisa bianca a strisce rosse orizzontali anziché le classiche righe verticali da sempre usate nel mondo del calcio.
Arturo Autelitano si avvicina a Tom Minniti e lo apostrofa:
«Ci avete fatto trovare questo terreno infame per fotterci e noi ci siamo presentati con la tenuta da rugby!»
Questo, amici miei, era il calcio dilettantistico di una volta. Dilettantistico perché era puro diletto.